L’Agenzia dell’Entrate, con risposta n. 5/2025, interviene in riferimento alla realizzazione di piani di welfare aziendale, in merito al servizio offerto da un provider che prevede l’assegnazione dei fringe benefit tramite una carta di debito nominativa.
Tale carta potrà essere utilizzata dai dipendenti solo per fruire, presso fornitori specificatamente individuati, dell’assegnazione dei fringe benefit, ossia; la carta in oggetto non può essere utilizzata per fini diversi da quello sopra indicato e la stessa non può essere monetizzabile e/o convertibile, integralmente o parzialmente, in denaro.. Né la stessa risulta cedibile a terzi o commercializzabile in quanto nominativa.
Fatte queste dovute premesse, necessarie ad inquadrare il quesito sottoposto all’Agenzia, ci si chiede se la carta di debito in oggetto possa essere qualificata come un documento di legittimazione e possa costituire un voucher cumulativo come previsto dall’art. 51 c. 3 bis TUIR.
L’Agenzia, nella risposta, evidenzia come già la circolare 15 giugno 2016, n. 28/E specificasse le caratteristiche e le modalità di fruizione dei titoli di legittimazione i quali “… non possono essere utilizzati da persona diversa dal titolare, non possono essere monetizzati o ceduti a terzi e devono dare diritto ad un solo bene, prestazione, opera o servizio per l’intero valore nominale senza integrazioni a carico del titolare”.
A ciò va aggiunta l’indicazione del Decreto Interministeriale 25 marzo 2016 che connota il documento di legittimazione come un titolo rappresentativo di una specifica utilità e prefigura una esatta corrispondenza tra il valore indicato nel documento di legittimazione ed il valore della prestazione offerta che deve esser determinato in base al valore normale ossia il prezzo mediamente praticato per i beni della stessa specie o similari in condizione di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo i cui beni sono acquisiti (art. 9 c. 3 TUIR). Pertanto, i voucher, secondo la prassi dell’Agenzia, assumono le seguenti peculiari caratteristiche:
1) non possono essere emessi a parziale copertura del costo della prestazione, opera o servizio e, quindi, non sono integrabili;
2) non possono rappresentare più prestazioni opere o servizi di cui all’ art. 51 c. 2 TUIR.
3) identificano il soggetto cui ha diritto alla prestazione e pertanto sono intestati all’effettivo fruitore;
4) non possono essere rappresentativi di somme di denaro.
Viene poi correttamente evidenziato come il decreto citato contenga un’espressa deroga al rigido “divieto di cumulo” potendo così un unico voucher rappresentare più beni o servizi di imposto complessivo non superiore a 258,23 euro elevati, per il triennio 2025-2027, a 1.000 o 2.000 euro in caso di figli a carico.
La soglia di massimo valore dovrà essere verificata con riferimento all’insieme di tutti i fringe benefit fruiti nel medesimo periodo di imposta. Anche la risposta dell’Agenzia n. 273 del 2019 ammetteva la possibilità di utilizzare un budget figurativo per la fruizione di beni e servizi attraverso un circuito elettronico chiarendo che esso non “rappresenta un titolo di credito, ma consente di individuare in tempo reale il lavoratore che attiva un servizio previsto dal Piano e, al contempo, di scongiurare un eventuale utilizzo improprio e/o fraudolento di servizi stessi”.