Per premiare chi assume nuovo personale il legislatore nazionale, regionale e comunitario ha, nel corso del tempo, previsto un intricato puzzle di incentivi contributivi. Le disposizioni tendono sempre più ad “accavallarsi” rendendo caotico il quadro nel quale aziende e professionisti si trovano a dover operare e non è sempre semplice scegliere lo sgravio più aderente alle esigenze. Un esempio di scelta “complessa” giunge dal confronto tra i vantaggi dello sgravio contributivo per l’assunzione di under 36 e i benefici economici e normativi dell’apprendistato professionalizzante. Come devono operare i datori di lavoro?

La strada che premia i datori di lavoro che intendono assumere personale è piena di benefici che vengono offerti da varie disposizioni nazionali, regionali e comunitarie: esse tendono sempre più ad “accavallarsi” rendendo caotico il traffico per gli “addetti ai lavori” che debbono operare e che debbono scegliere quello che maggiormente si attaglia alle loro esigenze.
Manca, a mio avviso, una strategia di insieme e, sovente, manca una stretta correlazione con la realtà che si sta vivendo.

Sgravi contributivi per l’assunzione di under 36

Un esempio di quello che affermo riguarda uno sgravio contributivo “partorito” dalla legge di Bilancio 2021 (legge n. 178/2020): mi riferisco ad una agevolazione importante che riconosce uno “sconto contributivo” fino a 3 anni (che diventano 4 per 8 Regioni del centro sud) pari a 6.000 euro sulla quota a carico del datore di lavoro.
La circolare n. 56/2021 dell’INPS che spiega, in dettaglio, tutti i chiarimenti necessari, è stata emanata, ma la disposizione non è ancora concretamente operativa in quanto si è in attesa della autorizzazione della Commissione Europea ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3, del Trattato dell’Unione.
Il beneficio è destinato a chi assume a tempo indeterminato, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2021 ed il 31 dicembre 2022, un lavoratore che ha una età non superiore a 35 anni e 364 giorni all’atto della instaurazione del rapporto e che non ha mai avuto un rapporto a tempo indeterminato nella sua vita lavorativa, fatti salvi i periodi di apprendistato non “consolidatosi” al termine del periodo formativo.
Prima di entrare nel merito di tutte le condizioni previste, occorre rimarcare come, a mio avviso, il Legislatore, prevedendo questo beneficio, non abbia ben considerato come “a 36 anni” un giovane (non più tanto giovane) possa aver avuto già rapporti a tempo indeterminato risoltisi per le situazioni più disparate (licenziamento a seguito di crisi economica dell’azienda ove era occupato, dimissioni della donna “nel periodo protetto”, ecc.): tanti giovani che, magari, sono stati costretti a lavorare “in nero” o che hanno avuto improbabili rapporti di collaborazione e che sono stati ricondotti a rapporto di lavoro subordinato dopo accertamenti degli organi di vigilanza, sono tagliati fuori. Se a ciò si aggiunge che l’INPS, nella circolare, esclude anche chi ha risolto il rapporto di lavoro durante il periodo di prova (e, sappiamo bene, come la questione tagli, dolorosamente, “fuori” portatori di handicap avviati obbligatoriamente e licenziati, durante tale periodo, dopo pochi giorni), il quadro di riferimento si fa ancora più chiaro. Forse, si poteva eliminare il riferimento al precedente rapporto a tempo indeterminato.

Condizioni da rispettare

Per il resto, concordo su alcune misure ovvie e “sacrosante” come il fatto che lo sgravio viene riconosciuto in presenza di norme contenute sia nell’art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006 che dell’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015:
· Regolarità contributiva;
· Rispetto degli obblighi di legge ed assenza di sanzioni per gravi violazioni in materia di lavoro e legislazione sociale (sono quelle riportate nell’allegato al D.M. sul DURC);
· Rispetto degli accordi e contratti collettivi sottoscritti delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e, se esistenti territoriali od aziendali;
· Rispetto di obblighi preesistenti stabiliti dalla legge o dalla contrattazione collettiva;
· Rispetto di diritti di precedenza;
· Rispetto dei lavoratori posti in integrazione salariale straordinaria, a meno che l’assunzione non sia di livello diverso rispetto o riguardi un’altra unità produttiva. La circolare n. 133/2020 dell’INPS al punto 5 ha definito le integrazioni salariali COVID-19 come assimilabili ad “evento non oggettivamente evitabile”, cosa che è stata ripresa anche dalla circolare n. 56/2021;
· Rispetto della disposizione che vieta l’assunzione di lavoratori licenziati nei 6 mesi antecedenti da datori di lavoro in rapporti di collegamento o controllo o da aziende facenti capo alla stessa proprietà anche per interposta persona.

Contribuzione previdenziale dovuta

La circolare n. 56 del 2021 ricorda anche (cosa giustissima) su quali contributi non si calcola l’esonero:
· I contributi ed i premi assicurativi dovuti all’INAIL;
· Il contributo, ove dovuto, al Fondo per l’erogazione ai lavoratori del settore privato dei trattamenti di fine rapporto ex art. 2120 c.c. (art. 1, comma 755 della legge n. 296/2006);
· Il contributo, ove dovuto, ai fondi bilaterali, al FIS ed ai Fondi delle Province Autonome di Trento e Bolzano, previsti dal D.L.vo n. 148/2015;
· Il contributo dello 0,30% in favore dei Fondi interprofessionali per la Formazione continua ex art. 118 della legge n. 388/2000;
· Il contributo, ove dovuto, per il Fondo del settore del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali;
· Le contribuzioni non previdenziali concepite per apportare elementi di solidarietà alle gestioni previdenziali di riferimento, sulle quali si è, ampiamente, soffermata la circolare dell’Istituto n. 40/2018.

Altri vincoli per il datore di lavoro

Il Legislatore ricorda, altresì, che per poter fruire del beneficio occorre rispettare anche altri vincoli che possono così sintetizzarsi:
· I datori di lavoro non debbono aver proceduto nei 6 mesi antecedenti alla instaurazione del rapporto a licenziamenti per motivi economici ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/1966 o a procedure collettive di riduzione di personale secondo l’iter previsto dagli articoli, 4, 5 e 24 della legge n. 223/1991, conclusesi con recessi, che abbiano riguardato lavoratori inquadrati con la stessa qualifica nella medesima unità produttiva. Da tale dizione restano, ovviamente, fuori sia le dimissioni che le risoluzioni consensuali, seppur incentivate che, anzi, nella c.d. decretazione di urgenza (da ultimo il D.L. n. 41/2011) sono favorite, con il riconoscimento della NASpPI, a seguito di accordi collettivi sottoscritti con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale;
· I datori di lavoro non debbono procedere, nei 9 mesi successivi all’assunzione a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo o a procedure collettive di riduzione di personale che riguardino dipendenti con la stessa qualifica del lavoratore assunto nella medesima unità produttiva.
Il mancato rispetto di tali obblighi comporterà la sospensione delle agevolazioni ed il recupero di quanto indebitamente ricevuto.

Incentivi dell’apprendistato professionalizzante

Questi, per sommi capi, sono i punti essenziali che un datore di lavoro deve tener presente nel momento in cui si accinge ad assumere a tempo indeterminato un lavoratore che presenta i requisiti soggettivi di cui ho parlato pocanzi e che, da subito, viene inquadrato nel profilo di appartenenza e che, sempre da subito, rientra a pieno titolo nel computo dell’organico, laddove il calcolo dei presenti in azienda risulta necessario per l’applicazione di istituti previsti dalla legge o dal contratto collettivo.
Se queste sono le condizioni principali finalizzate all’assunzione degli “under 36” vediamo se un datore di lavoro che dovesse, nell’anno in corso, instaurare un rapporto di lavoro con un giovane che non ha superato i 30 anni, e volesse approfittare di benefici economici e contributivi, sia proprio obbligato a ricorrere a tali agevolazioni o se nel “supermercato degli incentivi” si rinvenga una tipologia contrattuale che, completamente diversa, presenta delle caratteristiche “invitanti”.
Il discorso non può che andare all’apprendistato professionalizzante che è un contratto a tempo indeterminato finalizzato alla formazione ed all’occupazione dei giovani (art. 41 del D.L.vo n. 81/2015), attraverso il conseguimento di una qualificazione ai fini contrattuali per i soggetti di età compresa tra i 18 ed i 29 anni.
Qui, senza entrare nel merito di alcune questioni prettamente operative, ricordo che la contribuzione è “propria”, nel senso che essa non viene considerata come ridotta, come ebbe a sostenere il Ministero del Lavoro già dal 2008 al cui orientamento l’INPS si adeguò velocemente. Di conseguenza, le percentuali dell’1,5% del primo anno, del 3% del secondo anno e del 10% a partire dal terzo per le aziende che occupano fino a 9 dipendenti al momento dell’assunzione (sulle modalità di calcolo vale ancora quanto l’Istituto affermò con la circolare n. 22/2007) e quella del 10% per tutta la durata del periodo formativo per le imprese che occupano più di 9 lavoratori, non sono soggette ai controlli usuali che scattano allorquando vengono riconosciuti gli sgravi contributivi (art 1, comma 1175 e art. 31 del D.L.vo n. 150/2015). La contribuzione del 10% continua per 12 mesi successivi al “consolidamento” del rapporto al termine del periodo formativo, mentre, per le assunzioni che intervengono nel periodo 1° gennaio 2021 – 31 dicembre 2021, viene meno la particolare agevolazione contributiva già prevista dal comma 106 dell’art. 1 della legge n. 205/2017.
Inoltre gli apprendisti possono essere assunti in una percentuale 1/1 nel rapporto con gli specializzati ed i qualificati, per salire a 3/2 presso le aziende con un organico superiore alle 9 unità, fermo restando che i datori di lavoro che hanno meno di 3 dipendenti possono assumere 3 giovani apprendisti, mentre l’art. 4 della legge n. 443/1985 consente, fino a determinati numeri, il superamento del rapporto proporzionale, diverso tra i vari settori, a condizione che le assunzioni ulteriori rispetto alla soglia massima siano di apprendisti.
Il piano formativo, elemento indispensabile del contratto, deve essere predisposto e sottoscritto prima della instaurazione del rapporto. Esso deve contenere una formazione “vera” e non di “facciata” con un occhio particolare alla sicurezza ed alle condizioni di lavoro e con una presenza del “tutor” (le cui caratteristiche sono indicate dal CCNL) non formale, ma sostanziale.
Il lavoratore può (non “deve”) essere retribuito fino a due livelli inferiori a quello che dovrà conseguire (in genere, la contrattazione collettiva prevede un passaggio intermedio durante il percorso formativo) o, in alternativa, in percentuale “a salire” rispetto al livello finale, secondo le tempistiche dettate dal CCNL.
L’aver instaurato precedenti rapporti a tempo indeterminato non è assolutamente di ostacolo alla contrattualizzazione del giovane apprendista, come lo è se si ricorre al beneficio per gli “under 36” previsto dalla legge n. 178/202.
Un rapporto di apprendistato professionalizzante può essere, a determinate condizioni, instaurato anche con un soggetto “over 29” titolare di un trattamento di NASpI, finalizzato alla qualificazione ed alla riqualificazione professionale (lo possiamo definire uno strumento di politica attiva del lavoro) ove si applicano, “in toto”, le regole proprie dell’apprendistato dei giovani limitatamente ai primi tre anni.
Gli apprendisti sono esclusi, per tutto il periodo formativo, salvo indicazione diversa della legge o della contrattazione collettiva, dal computo che subordina l’applicazione di particolari istituti al raggiungimento di un certo numero negli organici aziendali: ciò significa, ad esempio, che un giovane assunto con contratto professionalizzante non conta, per un triennio, ai fini dell’applicazione della normativa relativa al collocamento obbligatorio, cosa che non si può, invece, dire per un altro giovane assunto con lo sgravio contributivo previsto per gli “under 36”.
Il rapporto di apprendistato può, legittimamente, risolversi al termine del periodo formativo esercitando la previsione dell’art. 2118 c.c. (ma ciò non vale per gli “over 29” assunti ex art. 47, comma 4). Ovviamente il periodo formativo si considera concluso se sono state recuperate le ore di integrazione salariale fruite (art. 2, comma 4, del D.L.vo n. 148/2015), se la contrattazione collettiva ha previsto il prolungamento in presenza di malattia, infortunio o altre cause di assenza involontaria superiori a trenta giorni (art. 42, comma 5, lettera g, del D.L.vo n. 81/2015) o, in caso di maternità, ove l’art. 7 del D.P.R. n. 1026/1976 stabilisce che i periodi di astensione obbligatoria e facoltativa non si computano ai fini della durata dell’apprendistato.

Considerazioni finali

benefici correlati alle assunzioni (affermo ciò senza voler parteggiare per l’una o l’altra tipologia) vanno valutati non soltanto sotto l’aspetto dello sgravio contributivo, ma anche dei vantaggi economici e normativi che non sono, assolutamente, secondari.
Le riflessioni sul tema potrebbero continuare ma occorre non dimenticare che l’assunzione di una persona deve, innanzitutto, essere condizionata dalle sue capacità professionali, anche potenziali, dal tipo di percorso si intende offrire all’interno dell’impresa, dalle attitudini e dalle caratteristiche personali e, infine, dalle agevolazioni che, ricordo ancora, sono numerose e “slegate” tra di loro e, talvolta, particolarmente difficili da utilizzare.