Per le aziende i cui dipendenti svolgono mansioni al di fuori della sede di lavoro (ad esempio per recarsi da clienti sia attuali che potenziali), le scelte inerenti alla gestione del parco auto aziendale assumono un’importanza elevata, soprattutto ai fini fiscali.

Come è noto, infatti, nella maggior parte dei casi l’autovettura viene messa a disposizione del dipendente tanto per sue esigenze aziendali quanto per sue esigenze personali (il cosiddetto “uso promiscuo”), posto che detta configurazione assicura all’azienda un beneficio fiscale non trascurabile.

Sotto il profilo reddituale detta ipotesi viene espressamente disciplinata dall’articolo 164, comma 1, lett. b-bis), Tuir che, nella sua attuale formulazione, prevede una deducibilità nel limite del 70% tanto dei costi di acquisizione (proprietà, noleggio o leasing, senza tenere ulteriormente conto della soglia massima di deducibilità come per i casi di pieno utilizzo aziendale), quanto dei costi di impiego del veicolo (manutenzioni, pedaggi, assicurazioni, bollo, ecc.).

A fronte di tale concessione, in capo al dipendente si genera un fringe benefit per l’utilizzo personale dell’autovettura, che viene determinato in maniera forfettaria ai sensi dell’articolo 51 Tuir con la possibilità per l’azienda di addebitare al dipendente una “tariffa” sulla base di specifici accordi tra le parti. In quest’ultimo caso, l’eventuale importo addebitato va a nettizzare il compenso in natura (fringe benefit) connesso a tale utilizzo personale potendosi quindi verificare tre diverse situazioni:

  1. l’azienda attribuisce in busta paga al dipendente solo il benefit convenzionale;
  2. l’azienda richiede al dipendente una somma per l’utilizzo dell’auto e attribuisce in busta paga al dipendente la differenza tra il benefit convenzionale e quanto direttamente addebitato;
  3. l’azienda richiede al dipendente una somma per l’utilizzo dell’autovettura al dipendente che è pari al benefit convenzionale.

L’utilizzo promiscuo dell’auto da parte del dipendente, infine, deve essere dimostrato attraverso idonea documentazione (a tal fine la circolare 48/E/1998 individua l’integrazione del contratto di lavoro attraverso una clausola apposita quale soluzione idonea a fornire tale prova), oltre al fatto che l’applicazione di tale fattispecie è subordinata al requisito dell’utilizzo del dipendente per la maggior parte del periodo d’imposta, essendo quindi necessario stabilire un periodo minimo di utilizzo del dipendente al fine di evitare concessioni fittizie di ridotta durata.

Se tutto sommato la disciplina reddituale non presenta particolari criticità, più complessa appare la disciplina ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, anche alla luce degli interventi operati dal legislatore con la Legge finanziaria per l’anno 2008 (L. 244/2007) e con la successiva legge comunitaria 2008 (L. 88/2009).

Con tale ultimo provvedimento, per quanto ci interessa in questa sede, è stata modificata la disposizione contenuta nell’articolo 14, comma 6, Decreto iva (ora nuovo comma 3), relativamente alla determinazione del valore normale nei casi di messa a disposizione ai dipendenti dei veicoli stradali a motore.

Nella sua nuova formulazione tale norma non fa più riferimento al “conveniente” valore normale determinato a norma dell’articolo 51, comma 4, lett. a), Tuir (criterio convenzionale determinato sulla base delle tariffe ACI), bensì la sua individuazione è rinviata ad un decreto ministeriale che in base all’articolo 24, comma 6, L. 88/2009 doveva essere emanato entro il 25.11.2009, ovvero 120 giorni dall’entrata in vigore della legge comunitaria 2008, avvenuta il 29.7.2009.

Sempre per espressa previsione normativa, fino all’emanazione del citato decreto devono continuare ad applicarsi le regole precedenti che individuano il valore normale secondo le regole convenzionali previste dall’articolo 51, comma 4, lett. a), Tuir. Posto che ad oggi, a quasi dieci anni di distanza dalle richiamate modifiche, il decreto previsto dalla L. 88/2009 non risulta essere ancora stato pubblicato, si deve continuare ancora a considerare il più favorevole parametro di riferimento convenzionale.

e quindi, per ora, nessuna modifica ha interessato le regole di assoggettamento ad Iva del benefit concesso al dipendente, non così lineare appare la disciplina riguardante la detrazione dell’Iva relativa alle spese sia di acquisizione che di impiego di tali autovetture.

Si discuteva, nella sostanza, se il veicolo assegnato in uso al dipendente fosse da considerare “utilizzato” in via esclusiva o meno per lo svolgimento dell’attività professionale (di impresa o di lavoro autonomo).

Già in seguito all’emanazione della Decisione del Consiglio UE del 18.6.2007, Assonime, con la circolare 51/2007, affermò, al paragrafo 3, che “dovrebbero considerarsi interamente utilizzati per l’esercizio dell’attività – consentendosi di conseguenza la detraibilità integrale dell’imposta “a monte” – oltre ai veicoli per i quali è escluso l’uso privato da parte dell’imprenditore o di altri soggetti (dipendenti, collaboratori ecc.) anche quelli per i quali l’uso privato da parte di tali soggetti è consentito, ma dietro pagamento di un corrispettivo (che sia beninteso effettivo e non meramente simbolico) assoggettato ad Iva. In tal caso, il veicolo è da ritenere utilizzato soltanto nell’esercizio dell’impresa in quanto, anche se il bene è utilizzato per altri fini (ad esempio, uso del veicolo da parte di un dipendente nell’interesse dell’impresa ed uso privato, verso corrispettivo, da parte dello stesso soggetto), si tratta pur sempre di destinazioni inerenti all’attività d’impresa”.

A seguito delle modifiche introdotte con la Legge finanziaria 2008, Assonime è ritornata sulla questione con la circolare 11/2008, ribadendo al paragrafo 1.3, che “anche questo genere di operazioni nei confronti del personale dipendente rientra nell’esercizio dell’impresa realizzando prestazioni di servizi imponibili, secondo la definizione della direttiva (obbligo di non fare o di permettere un atto o una situazione), che come tali legittimano la detraibilità dell’imposta sull’acquisto dei beni con i quali le stesse sono effettuate”.

Le richiamate affermazioni di Assonime sono state poi ufficialmente confermate dall’Amministrazione finanziaria con la risoluzione 6/DPF del 20.02.2008 con la quale il Dipartimento delle politiche fiscali ha precisato che nei casi di veicoli a motore concessi in uso promiscuo ai dipendenti è consentita la detrazione integrale al 100% dell’imposta (il veicolo si considera come utilizzato a fini esclusivamente professionali), qualora l’impresa assolva l’Iva su una base imponibile che, fino alla emanazione dello specifico decreto previsto dall’articolo 14, comma 3, D.P.R. 633/1972 novellato dalla Legge comunitaria 2008, deve essere almeno pari a quella fissata dalle tariffe ACI in corrispondenza di una percorrenza convenzionale di 4.500 Km annui (15.000 km considerati al 30%).

Se le riportate affermazioni dell’Agenzia delle entrate riguardano esplicitamente i casi di effettivo addebito di un corrispettivo al dipendente per l’utilizzo dell’autovettura, non appare chiaro quale sia il trattamento da riservare alle ipotesi “ibride” in cui le aziende addebitano con fattura solo una parte del valore normale definito ancora oggi con modalità convenzionali (tariffe ACI), considerando come benefit in busta paga l’ulteriore quota.S

Sempre la richiamata risoluzione 6/DPF del 20.02.2008 sul punto afferma che “ove sia pattuito un corrispettivo inferiore a tale importo, la base imponibile è quindi costituita – in luogo del corrispettivo – dall’importo medesimo, al lordo delle somme trattenute al dipendente e al netto dell’Iva nello stesso importo inclusa.”

Da qui la necessità per l’impresa di assoggettare ad Iva non solo la parte di corrispettivo fatturata al dipendente, ma, se questo è inferiore al fringe benefit convenzionale, la necessità di assolvere l’imposta mediante autofattura anche su questo ultimo elemento.

E ciò al fine di guadagnare l’integrale detrazione dell’iva sui costi relativi all’autovettura.

Tuttavia, se l’Amministrazione finanziaria riconosce l’ipotesi di assolvimento dell’imposta a mezzo di autofattura da parte dell’impresa quale strumento di “integrazione” del corrispettivo addebitato al dipendente fino al raggiungimento dell’importo del fringe benefit (misura minima che, secondo il legislatore, giustifica l’utilizzo del mezzo aziendale anche ai fini personali), se ne deve dedurre che, anche in caso di assenza di corrispettivo richiesto al dipendente per l’utilizzo promiscuo del mezzo, detta giustificazione possa realizzarsi attraverso l’assolvimento mediante autofattura da parte dell’azienda dell’Iva determinata sull’intero importo del fringe benefit convenzionalmente determinato.

Se così non fosse, il richiamato documento di prassi non avrebbe certamente potuto riconoscere la soluzione fornita in relazione alla ipotesi “ibrida” sopra descritta.

È quindi auspicabile che l’Agenzia intervenga per fornire una esplicita conferma in tal senso.