La Corte di Cassazione affronta il tema dell’obbligo, gravante sul datore di lavoro, di valutare la possibilità ricollocazione del dipendente (c.d. “repêchage”), preliminarmente alla decisione di procedere con il licenziamento per giustificatomotivo oggettivo.
La sentenza riveste particolare interesse perché il suddetto tema viene sviluppato con riferimento ad un soggetto datoriale facente parte di un c.d. “gruppo di imprese” (alcune delle quali all’estero), e consente – quindi – di delineare i limiti del descritto obbligo di “repêchage”.
La questione affrontata
Un’azienda (articolazione italiana di una società americana e facente parte di un gruppo di imprese collegate funzionalmente ad un’unica “casa madre”) decideva la chiusura di un’unità operativa a seguito della decisione di concentrare l’attività in alcuni laboratori del gruppo presenti in USA.
Conseguentemente, la stessa intimava il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ad un lavoratore addetto a tale unità operativa.
Questi impugnava il provvedimento datoriale deducendone la natura discriminatoria (in quanto asseritamente connesso a propri problemi di salute) e, in subordine, deducendo l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento. In particolare, il lavoratore sosteneva che l’azienda non avesse correttamente adempiuto al preliminare obbligo di valutare la possibilità della sua ricollocazione anche in altre aziende facenti parte del medesimo gruppo (alcune delle quali anche all’estero), oltre al mancato rispetto dell’obbligo di correttezza e buona fede nell’individuazione del lavoratore da licenziare.