Proroghe dei contratti e sanzioni per i datori che “sforano” le clausole di contingentamento. Sono questi i due principali fronti del lavoro a tempo determinato sui quali il decreto legislativo 81/2015di riordino dei contratti (in attuazione del Jobs act) ha apportato modifiche, più o meno sostanziali, entrate in vigore il 25 giugno scorso. Vediamo dunque quali sono gli interventi dei quali dovrà tenere conto il datore di lavoro interessato a stipulare o a prorogare contratti a termine.
Le proroghe
A differenza di quanto prevedeva il Dlgs 368/2001 (ormai abrogato in larga parte), scompare l’obbligo di riferire la proroga «alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato» (articolo 4, del Dlgs 368). Ora le proroghe, sempre nel numero massimo di cinque nell’arco di 36 mesi e a prescindere dal numero dei contratti, potranno quindi riguardare anche attività diverse rispetto a quelle oggetto del rapporto iniziale: resta inteso che l’eventuale cambiamento dei compiti del lavoratore dovrà rispettare le nuove previsioni contenute nell’articolo 3 del Dlgs 81/2015 , che ha riscritto la disciplina delle mansioni regolata dall’articolo 2013 del Codice civile.
Rimane la possibilità della cosiddetta proroga assistita presso la Direzione territoriale del lavoro, allo scadere dei 36 mesi di rapporto a termine, però con alcune varianti: in primo luogo, l’articolo 19 del Dlgs 81/2015 fissa il termine massimo di 12 mesi quale ulteriore durata del contratto (prima la determinazione era rimessa ad avvisi comuni delle organizzazioni sindacali). Non è più previsto, inoltre, che il lavoratore debba essere assistito dal sindacato al quale è iscritto o a cui ha conferito il proprio mandato. Evidentemente, il legislatore, considerando la funzione di garanzia da parte delle commissioni delle Dtl, ha ritenuto superflua l’assistenza del rappresentante sindacale che, peraltro, già siede in seno alla commissione stessa.
È confermata invece la necessità delle pause tra un rapporto di lavoro a termine e il successivo: queste devono essere di 10 giorni per i contratti di durata fino a sei mesi e di 20 giorni per quelli di durata superiore, dalla data di scadenza del contratto precedente. L’obbligo della pausa – per evitare che il contratto si trasformi a tempo indeterminato a partire dal secondo contratto – non opera con riferimento alle attività stagionali e nelle ipotesi disciplinate dai contratti collettivi (anche territoriali o aziendali). Per le attività stagionali, in attesa che un Dm del Lavoro individui i casi specifici, continuano a trovare applicazione le disposizioni del Dpr 1525/1963.
Sono poi esentati, sia dal limite delle cinque proroghe, sia dal rispetto degli intervalli, i contratti a termine stipulati dalle start-up innovative (Dl 179/2012), nei limiti temporali previsti.
Non ha subito modifiche la possibilità di proseguire il rapporto a termine oltre la scadenza, nel rispetto dei cosiddetti periodi cuscinetto: 30 giorni per i contratti di durata inferiore a 6 mesi e 50 giorni negli altri casi, senza incappare nella trasformazione a tempo indeterminato. In queste ipotesi è dovuta una maggiorazione della retribuzione, per ogni giorno di sforamento, nella misura del 20% fino al decimo giorno e del 40% per il periodo successivo.
I limiti ai contratti a termine
Non si potrà applicare la sanzione della trasformazione a tempo indeterminato per i contratti a termine stipulati in violazione delle clausole di contingentamento legali o contrattuali. Per il resto, in sostanza l’apparato sanzionatorio collegato al mancato rispetto del numero complessivo dei rapporti a termine attivabili, come determinato nei contratti collettivi (o, in mancanza, nel parametro legale del 20% del personale a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno cui si riferisce l’assunzione) resta quello introdotto dal decreto «Poletti» (Dl 34/2014).
I datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti possono sempre stipulare un contratto a termine.
Sul contingentamento, l’articolo 23 del Dlgs 81/2015 fornisce due specifiche gestionali:
• i datori che iniziano l’attività in corso d’anno possono usare come base di computo del personale a tempo indeterminato, per conteggiare il tetto, quello in forza al momento dell’assunzione;
• rispetto al dato numerico ottenuto, il decimale va arrotondato all’unità superiore qualora esso sia uguale o superiore a 0,5 (in linea con l’orientamento espresso dal Lavoro con la circolare 18/2014 ).
Restano sempre esclusi dai “tetti” i contratti a termine conclusi nella fase di avvio di nuove attività (definiti dalle intese collettive); da start-up innovative; per le attività stagionali; per specifici spettacoli ovvero programmi radiofonici o televisivi; per sostituire lavoratori assenti; con lavoratori di età superiore a 50 anni (in precedenza l’età era fissata a 55 anni); da parte delle università, istituti di ricerca, enti culturali nei confronti dei lavoratori impiegati per far fronte a esigenze temporanee specificate dalla norma.