Il datore di lavoro che licenzia per giustificato motivo oggettivo ha l’obbligo di provare che al momento del licenziamento non esisteva alcuna posizione di lavoro con mansioni equivalenti da proporre ai/al lavoratori in esubero e anche di aver loro prospettato, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un demansionamento. Lo stabilisce una sentenza di Cassazione 26467 del 21 dicembre 2016 che individua paletti precisi al licenziamento per giustificato motivo oggettivo in seguito all’entrata in vigore del il Jobs Act .
«il datore di lavoro che adduca a fondamento del licenziamento la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore ha l’onere di provare, dunque, non solo che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro alla quale egli avrebbe potuto essere assegnato per l’espletamento di mansioni equivalenti ma anche di avergli prospettato, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale».
Non è il lavoratore che deve manifestare una eventuale disponibilità al demansionamento, in assenza di esplicita formulazione della proposta da parte dell’impresa. Non solo: anche l’obbligo di repechage, ovvero di prelazione nel caso in cui si liberino posti successivamente al licenziamento, va assolto sia per quanto riguarda posti a pari mansioni, sia per quanto riguarda mansioni inferiori.
I fatti analizzati, dal caso in oggetto, si riferiscono a un licenziamento effettuato nel 2011, quindi prima del Jobs Act e della Riforma Fornero, che però viene presa come riferimento nella trattazione del caso. Comunque sia, il punto è che ora le regole sono cambiate: il Jobs Act ha esteso la possibilità di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (che comunque, anche in caso di illegittimità, non dà diritto al reintegro), ma ha aperto al demansionamento.
Ma innanzitutto le nuove regole sul licenziamento si applicano solo ai contratti di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, a tutti gli altri (quindi, a tutti i contratti precedenti al 7 marzo 2015) continuano ad applicarsi le vecchie protezioni.
La norma di riferimento è l‘articolo 3 del dlsg 81/2015, che disciplina i nuovi contratti del Jobs Act. Il demansionamento in caso di modifica degli assetti organizzativi, è possibile solo al livello di inquadramento immediatamente inferiore, e a parità di stipendio. E’ però possibile, «un peggioramento della retribuzione in caso di accordo tra le parti e allora sì che si può arrivare a mutamenti anche importanti della posizione lavorativa».