L’articolo 6 del TUIR (DPR 917/1986) esclude dalla nozione di reddito imponibile il risarcimento del danno per la sola parte destinata a reintegrare il patrimonio del percettore a seguito di perdite o spese sostenute (c.d. danno emergente); mentre assoggetta ad imposta sul reddito delle persone fisiche, come redditi persi, gli indennizzi risarcitori (c.d. lucro cessante), in quanto veri e propri emolumenti sostitutivi di un reddito che il danneggiato non ha potuto conseguire per effetto dell’evento lesivo.
In pratica, le somme percepite a titolo di risarcimento del danno emergente non rientrano nel reddito imponibile soggetto a tassazione
Il problema attiene alla dimostrazione che le somme siano erogate effettivamente quali risarcitorie di un danno emergente. Infatti, proprio al fine di evitare eventuali rischi connessi ad un accertamento tributario, è consigliabile astenersi dall’effettuare la ritenuta d’acconto soltanto in presenza degli elementi probatori che costituiscono la base del danno emergente. Parliamo di una eventuale certificazione medica, della documentazione attestante un eventuale demansionamento subìto dal lavoratore o delle spese effettivamente sostenute dal lavoratore per contemperare il comportamento irregolare dell’azienda. Tutto quello che, in definitiva, può servire per dimostrare, realisticamente, che le somme corrisposte dal datore di lavoro, durante l’accordo conciliativo, sono state pattuite a fronte di effettive spese che possono essere riconosciute come un risarcimento ad un danno emergente e non come ristoro di un lucro cessante.
Ricordo che l’onere della prova, sull’effettiva esistenza del danno emergente, grava sia sul lavoratore che sul datore di lavoro, non essendo sufficiente il fatto che sia presente, nell’accordo transattivo, la qualificazione della somma a titolo di danno emergente.
E’ pur vero, tuttavia, che in alcuni casi si potrebbe rilevare un danno emergente anche senza una rilevante presenza di prove documentali; si pensi al risarcimento del danno alla professionalità e all’immagine patito da un lavoratore e derivante da un demansionamento operato dal datore di lavoro (vedasi la Corte di Cassazione, sezione tributaria, con sentenza n. 28887/2008).