Due recenti sentenze della Cassazione (4509/2016 e 9467/2016) sono intervenute sul tema dell’obbligo di repêchage nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo, giungendo a conclusioni contrastanti.
Le due sentenze danno per scontata la consolidata costruzione giurisprudenziale dell’obbligo di repêchage, che è in capo al datore di lavoro di provare, oltre al venir meno dell’utilizzabilità del lavoratore nelle mansioni assegnate, anche l’impossibilità di un suo diverso utilizzo nell’ambito aziendale. Ed entrambe si pongono il problema se tale diverso utilizzo possa riguardare anche mansioni inferiori. Sulle conclusioni però sembrano divergere.
La sentenza 4509/2016 pone in capo al datore di lavoro l’onere di provare (oltre alla soppressione della posizione lavorativa ricoperta) non solo «che non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa, ma anche di aver prospettato al licenziato, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un suo impiego in mansioni inferiori». La sentenza 9467/2016 conclude, invece, per l’inesistenza di un «obbligo del datore di lavoro di offrire al lavoratore tutte le mansioni, anche quelle del tutto incompatibili con quelle svolte in precedenza dal lavoratore».