Nuovi chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate, con le risposte a interpello n. 70, n. 71, n. 72 e n. 74 del 12 marzo 2025, sul nuovo regime agevolativo per i lavoratori impatriati.

L’art. 5, D.Lgs. n. 209/2023 (in vigore dal 29 dicembre 2023), disciplina il nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori impatriati, che si applica ai contribuenti che trasferiscono, dal periodo d’imposta 2024, la residenza in Italia ai sensi dell’art. 2 TUIR.

Le risposte agli interpelli sopra indicati chiariscono:

  • La norma non subordina l’applicazione del nuovo regime alla condizione che il contribuente sia stato residente in Italia prima del trasferimento all’estero. Pertanto, in linea di principio, in assenza di specifiche preclusioni, il nuovo regime può essere applicato, nel rispetto di ogni altro requisito previsto dalla normativa, anche dai contribuenti che non sono mai stati fiscalmente residenti in Italia.
  • Per effetto delle modifiche la norma attualmente dispone che sono “altamente qualificati” i lavoratori “che intendono svolgere prestazioni lavorative retribuite per conto o sotto la direzione o il coordinamento di un’altra persona fisica o giuridica e che sono alternativamente in possesso:
    • del titolo di istruzione superiore di livello terziario rilasciato dall’autorità competente nel paese dove è stato conseguito che attesti il completamento di un percorso di istruzione superiore di durata almeno triennale o di una qualificazione professionale di livello post secondario di durata almeno triennale o corrispondente almeno al livello del Quadro nazionale delle qualificazioni di cui al decreto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali dell’8 gennaio 2018, recante “Istituzione del Quadro nazionale delle qualificazioni rilasciate nell’ambito del Sistema nazionale di certificazione delle competenze di cui al  decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13”, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 20 del 25 gennaio 2018;
    • dei requisiti previsti dal D.Lgs. n. 206/2007, limitatamente all’esercizio di professioni regolamentate;
    • di una qualifica professionale superiore attestata da almeno cinque anni di esperienza professionale di livello paragonabile ai titoli d’istruzione superiori di livello terziario, pertinenti alla professione o al settore specificato nel contratto di lavoro o all’offerta vincolante;
    • di una qualifica professionale superiore attestata da almeno tre anni di esperienza professionale pertinente acquisita nei sette anni precedenti la presentazione della domanda di Carta blu UE, per quanto riguarda dirigenti e specialisti nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione di cui alla classificazione ISCO­08, n. 133 e n. 25.

La norma riguarda i lavoratori “stranieri” in quanto disciplina le condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere in Italia lavori altamente qualificati.

Ai fini dell’applicazione del nuovo regime che, in assenza di specifiche preclusioni poste dalla norma, riguarda sia lavoratori italiani che stranieri, il richiamo alle disposizioni contenute nelle norme sopra citate deve, invece, necessariamente intendersi effettuato solo ai requisiti relativi al possesso, alternativamente, del titolo di istruzione o di una qualificazione professionale, ivi elencati.

 

  • Il regime agevolativo può essere applicato, nel rispetto delle condizioni richieste, anche nell’ipotesi in cui il lavoratore si trasferisca in Italia per prestare l’attività lavorativa nel territorio dello Stato in favore del medesimo soggetto (residente o non residente in Italia), presso il quale è stato impiegato all’estero prima del trasferimento oppure in favore di un soggetto “appartenente al suo stesso gruppo.

Nell’ipotesi in cui il lavoratore svolga in Italia l’attività lavorativa a favore dello stesso soggetto (datore/gruppo) per il quale lavorava all’estero, la norma prevede l’allungamento del periodo minimo di pregressa permanenza all’estero che, da tre, aumenta a sei o sette anni, a seconda che si tratti o meno del medesimo soggetto (datore/gruppo) presso cui era svolta l’attività lavorativa in Italia prima del trasferimento all’estero.

La norma non specifica la tipologia di rapporto contrattuale che deve intercorrere tra i soggetti; dunque, il periodo minimo di pregressa permanenza all’estero è aumentato a sei o sette anni in tutte le ipotesi in cui il contribuente (lavoratore dipendente, assimilato o lavoratore autonomo) al rientro in Italia presti l’attività lavorativa per il medesimo soggetto (datore/gruppo) per il quale ha lavorato all’estero.