contratti a termine non possono prevedere un periodo di prova più lungo rispetto ai nuovi tetti previsti dal Collegato Lavoro. Il chiarimento è fornito con la Circolare 6/2025 del Ministero, che dettaglia le novità introdotte dalla Legge n. 203 del 13 dicembre 2024. 

Il documento di prassi ne analizza il coordinamento con la contrattazione collettiva, che può sempre prevedere misure più favorevoli rispetto a quelle di legge (mentre non può attuare delle restrizioni).

Indice

  1. Durata del periodo di prova nei contratti a termine
    1. Il calcolo del periodo di prova, caso per caso
    2. Il coordinamento con la contrattazione collettiva

Durata del periodo di prova nei contratti a termine

La modifica va a incidere sull’articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 104/2022 e recepisce gli orientamenti europei in base ai quali la durata del periodo di prova deve essere proporzionale a quella del contratto. Questo principio è già previsto dalla normativa italiana come modificata dal Collegato Lavoro, che stabilisce anche l’impossibilità di prevedere una prova nel caso di rinnovo del contratto a termine.

Il calcolo del periodo di prova, caso per caso

Le nuove regole si applicano a partire dal 12 gennaio 2025 (entrata in vigore del Collegato Lavoro). Le modifiche introdotte quantificano con maggior precisione la durata minima e massima. Tale periodo si quantifica in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario, a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro, con dei vincoli ulteriori da rispettare:

  • per i contratti fino a sei mesi non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici;
  • per i contratti da sei a dodici mesi non può essere superiore a 30 giorni

Il coordinamento con la contrattazione collettiva

La norma conferma la possibilità per la contrattazione collettiva di introdurre disposizioni più favorevoli. Questo comporta l’impossibilità di prevedere un tempo minimo di prova superiore ai limiti massimi introdotti, perché in questo caso si configurerebbe un trattamento peggiorativo rispetto a quello normativo.

In base al principio del favor praestatoris, in ambito lavoristico le condizioni migliorative si riferiscono a una maggiore tutela del lavoratore. Per il quale è considerata più favorevole una minore durata del periodo di prova.

Se il contratto dura più di un anno la legge non prevede un tetto massimo e di conseguenza, secondo il Ministero del Lavoro, si possono superare i 30 giorni previsti per i rapporti di lavoro compresi fra sei mesi e dodici mesi.

In ultima analisi, la durata del periodo di prova minimo è pari ad un giorno lavorativo per ogni quindici giorni di calendario (con durata massima due giorni per contratti fino a sei mesi) e quello massimo può superare i trenta giorni (per contratti di oltre sei mesi) con un limite di quindici giorni per quelli fino a sei mesi.

Infine, in relazione alla previsione di eventuali condizioni migliorative previste dai contratti collettivi, in mancanza di ulteriori specificazioni da parte del legislatore si deve fare riferimento al CCNL applicato dall’azienda.