Nelle trasferte per motivi di lavoro, il riconoscimento del rimborso chilometrico deve essere valutato, in relazione al trattamento fiscale e contributivo, soprattutto in base al luogo di partenza. Differente è, infatti, la disciplina qualora non vi sia coincidenza con la sede di lavoro originaria, di solito indicata nel contratto di assunzione o nella lettera di incarico. Si tratta, in particolare, del caso in cui il lavoratore parte dalla propria residenza. In quali casi il rimborso chilometrico non deve essere assoggettato a tassazione in capo al dipendente?
Nella gestione delle trasferte per motivi di lavoro, le policy aziendali generalmente stabiliscono come mezzo di trasporto o l’autovettura aziendale ovvero quello personale del lavoratore, con il riconoscimento del rimborso chilometrico al lavoratore.
L’eventuale riconoscimento del rimborso chilometrico deve essere visto e analizzato per quanto riguarda il trattamento fiscale, contributivo, anche e soprattutto alla luce del luogo di partenza per la trasferta, qualora questo non coincida con la sede di lavoro originaria.
Disciplina fiscale e contributiva dei rimborsi chilometrici
La disciplina fiscale e contributiva relativa alla gestione delle indennità chilometrica in caso di trasferta con uso della propria auto è contenuta all’art. 51 del TUIR, ai sensi del quale in caso di rimborso delle spese per trasferte o missioni fuori del territorio comunale non concorrono a formare reddito i rimborsi di spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto.
Il legislatore pertanto esclude dal principio generale di onnicomprensività del reddito da lavoro dipendente gli eventuali rimborsi per spese sostenute dal lavoratore per il viaggio e trasporto in occasione di una trasferta o missione; secondo il legislatore, il rimborso chilometrico non deve essere assoggettato a tassazione in capo al dipendente in quanto non classificabile come remunerazione, ma come indennizzo per costi sostenuti per conto dell’impresa.
Requisito sine qua non per l’esenzione fiscale del rimborso chilometrico è che la trasferta si svolga al di fuori del territorio comunale: viceversa, qualora la stessa si svolga nell’ambio del territorio comunale, al di fuori dei rimborsi di spese di trasporto comprovate da documenti del vettore, gli importi riconosciuti al lavoratore concorrono a formare il reddito.
Per l’importo da rimborsare, il datore di lavoro può utilizzare le tariffe ACI in vigore al momento della trasferta o un diverso metodo di calcolo in uso presso l’azienda.
Le tariffe ACI
Qualora optasse per l’utilizzo delle tariffe ACI, ai fini del calcolo dei costi chilometrici di esercizio le spese di gestione sono state suddivise in due gruppi fondamentali:
Costi annui non proporzionali alla percorrenza | Sono ricompresi tutti i costi che in ogni caso il lavoratore deve sostenere, indipendentemente dal grado di utilizzazione del veicolo (quota interessi sul capitale di acquisto, tassa automobilistica)
I costi non proporzionali alla percorrenza si riducono al variare della percorrenza media annua. |
Costi annui proporzionali alla percorrenza | Rientrano tutti i costi che direttamente o indirettamente sono connessi al grado di utilizzazione del veicolo stesso (quota ammortamento capitale, carburante, pneumatici, manutenzioni e riparazioni) e tali costi sono proporzionali alla percorrenza e costituiscono il costo calcolato unitariamente e basato sul grado d’impiego del veicolo – che espresso in euro per Km risulta costante. |
Secondo la logica dei costi non proporzionali e proporzionali, le tabelle ACI sono costruite in modo che per ciascun veicolo preso in esame sono indicati differenti costi chilometrici in corrispondenza di una percorrenza media annua variabile di 5 mila in 5 mila Km per le autovetture a benzina, di 10 mila in 10 mila Km per quelle a gasolio.
Il luogo di partenza per la trasferta
Elemento fondamentale per la quantificazione del rimborso chilometrico è il luogo di partenza. Risulta necessario, pertanto, stabilire per ogni rapporto lavorativo la relativa sede di lavoro.
La sede di lavoro del dipendente (o del collaboratore) viene di solito indicata nel contratto di assunzione o nella lettera di incarico. Se, tuttavia, nella lettera di incarico non è indicata la sede di lavoro si considera come tale l’unità produttiva dell’impresa presso la quale si svolge abitualmente la prestazione di lavoro.
Infine, si considera il domicilio fiscale del collaboratore se risulta impossibile determinare contrattualmente la sede di lavoro o identificare tale sede con quella della società.
In relazione a quest’ultimo aspetto, nella circolare n. 326/E/97 è stato precisato come non sia necessaria un’autorizzazione preventiva da parte del datore di lavoro alla trasferta del dipendente, con indicazione dei dati relativi a tragitto e tipologia di autovettura, ma è invece fondamentale che la liquidazione del rimborso sia certificata sulla base della percorrenza, tipo di auto utilizzata e relativo costo chilometrico.
E se il lavoratore dovesse partire dalla propria residenza anziché dalla sede di lavoro?
Sul tema è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 92/E del 30 ottobre 2015, con la quale ha risposto a una istanza di interpello presentata da una compagnia di assicurazioni con dipendenti che svolgono frequentemente le proprie mansioni in trasferta, con utilizzo dell’auto personale al di fuori del territorio comunale ove è ubicata la sede di lavoro e per i quali per la determinazione dell’indennità chilometrica spettante, la regolamentazione aziendale dispone che “il riferimento per la determinazione del chilometraggio è la sede di lavoro, o il domicilio nelle situazioni in cui quest’ultimo sia più funzionale alla trasferta stessa, nei limiti dei chilometri effettivamente percorsi”.
Con riferimento al caso in cui il dipendente parta per la trasferta dalla propria residenza anziché dalla sede di lavoro, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che l’eccedenza di rimborso per il tragitto casa/missione, più lungo rispetto a quello sede/missione, concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente imponibile, previsto dall’articolo 49 del TUIR e determinato in base al principio di onnicomprensività del successivo articolo 51, comma 1.
In tale importo, vanno considerate tutte le somme che il datore di lavoro corrisponde al dipendente anche a titolo di rimborso spese.
Secondo l’Agenzia delle Entrate:
– laddove la distanza percorsa dal dipendente per raggiungere, dalla propria residenza, la località di missione risulti inferiore rispetto a quella calcolata dalla sede di servizio (con la conseguenza che al lavoratore è riconosciuto, in base alle tabelle Aci, un rimborso chilometrico di minor importo), quest’ultimo è da considerare non imponibile;
– nell’ipotesi in cui, invece, la distanza percorsa dal dipendente per raggiungere, dalla propria residenza, la località di missione risulti maggiore rispetto a quella calcolata dalla sede di servizio (con la conseguenza che al lavoratore viene erogato, in base alle tabelle Aci, un rimborso chilometrico di importo maggiore rispetto a quello calcolato dalla sede di servizio), la differenza è da considerarsi reddito imponibile ai sensi dell’art. 51, co.1 TUIR.
Esempio
Ipotizziamo di dover calcolare il rimborso chilometrico per un lavoratore inviato in trasferta a 330 chilometri e che possiede un Alfa Giulia 2.2 da 160 cv.
Sul sito ACI si ricavano le seguenti informazioni:
Se il lavoratore dichiara di percorrere all’anno 20.000 chilometri totali tra uso personale e lavorativo, la tariffa chilometrica sarà di 0,546275.
Moltiplicando la tariffa chilometrica di 0,546275 per i 660 km fatti (andata e ritorno) avrà diritto a un rimborso totale di euro 360,54.