In tema di smart working forzatamente effettuato in Italia, causa COVID, invece che all’estero dal dipendente distaccato, arrivano chiarimenti di grande interesse e purtroppo piuttosto restrittivi da parte dell’Agenzia nell’interpello 345 del 14 maggio 2021.
Il caso: Smart working in Italia del lavoratore distaccato all’estero
Una società multinazionale che ha utilizzato in larghissima misura nel 2020 il lavoro agile da remoto per i molti dipendenti sia in Italia che all’estero, presentava il caso in particolare di un dipendente residente in italia ma con contratto di distacco presso una societa consociata francese.
A causa dell’emergenza COVID e delle restrizioni imposte sia in Francia che in Italia alla mobilità dei lavoratori , il dipendente non aveva potuto recarsi nella sua sede di lavoro a Parigi fin dal febbraio 2020 ed ha svolto l’attività lavorativa dalla propria abitazione italiana fino ad Ottobre 2020, ma sempre e solo con le stesse mansioni e modalità utilizzate in precedenza.
Viene sottolineato in particolare che: “ Non vi sono state, infatti, tra la società istante ed il dipendente rientrato in Italia, interruzioni o variazioni contrattuali relativamente alla tipologia di mansioni, alla legal entity beneficiaria delle prestazioni di lavoro, alle linee di riporto del lavoratore stesso e al destino del costo del lavoro. In altre parole, il distacco del lavoratore in Francia, da un punto di vista contrattuale e di fatto, non ha subito modifiche né sotto il profilo individuale, né sotto il profilo dell’accordo intercompany, rimanendo il costo addebitato alla società distaccataria francese”.
La società chiedeva quindi se sia possibile considerare le retribuzioni convenzionali per il lavoro all’estero comunque applicabili al dipendente sino a tutto il mese di ottobre 2020 (incluso). Infatti considerando il periodo svolto in Italia in remote working, quale periodo utile ai fini del computo dei giorni di attività svolta all’estero, resta soddisfatto in via interpretativa il requisito minimo di soggiorno (183 giorni) nel 2020 anche se il dipendente non si è recato in Francia nei mesi di novembre e dicembre per motivi di sicurezza sul lavoro.
In questo modo si realizzerebbero tutte le condizioni previste per l’applicazione delle retribuzioni convenzionali (articolo 51, comma 8-bis, del Tuir)
Viene anche ricordato che ” l’impatto fiscale delle restrizioni legate al Covid-19, sia in termini di fiscalità individuale che di fiscalità societaria, è stato inoltre oggetto di interventi dell’OCSE, della Commissione Europea per quanto concerne gli aspetti previdenziali. A tal riguardo, si evidenzia che l’OCSE ha emanato, in data 3 aprile 2020, delle raccomandazioni agli Stati in materia di interpretazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, alla luce delle distorsioni che il Covid-19 avrebbe potuto comportare. In particolare, l’Organismo internazionale citato ha suggerito ai Paesi aderenti di non dare rilevanza alle deviazioni dettate dall’emergenza e dai vincoli alla mobilità imposti dai Governi. E’ stato in questo senso stipulato anche un accordo il 23.7.2020 fra Italia e Francia di recepimento che ha inteso”agevolare la posizione dei molti lavoratori che si spostano tra Italia e Francia e che si son trovati e si troveranno impossibilitati o sconsigliati dal farlo per via dell’emergenza sanitaria”.
L’Agenzia pero non concorda con le conclusioni della società e in sostanza ribadisce la normativa ordinaria per la quale se la prestazione lavorativa non viene svolta all’estero viene meno il requisito principale per l’utilizzo delle retribuzioni convenzionali (vedi paragrafo successivo)
Riguardo alle raccomandazioni dell’OCSE e all’accordo Italia Francia del luglio 2020 l’Agenzia ritiene che si tratti di “Interpretazioni di canoni di diritto internazionale” che non hanno effetto sull’interpretazione della normativa interna.
Si ricorda a margine quanto affermato dal Governo in una risposta data da una interrrogazione parlamentare a dicembre 2020 riguardo l’applicazione delle raccomandazioni OCSE . In quell’occasione si era dichiarato che “gli uffici dell’Amministrazione finanziaria assicureranno la trattazione di procedure amichevoli con le autorità dei Paesi interessati, ove siano rilevati casi di difficoltà o dubbi inerenti all’interpretazione o all’applicazione di specifiche disposizioni contenute nelle Convenzioni sulle doppie imposizioni, in considerazione dell’emergenza sanitaria ancora in corso“.
La normativa sulle retribuzioni convenzionali per il lavoro all’estero
Il citato comma 8-bis prevede, in deroga a quanto stabilito dai precedenti commi del medesimo articolo 51 del Tuir, che «il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali
tali retribuzioni sono fissate entro il 31 gennaio di ogni anno e sono determinate con riferimento e comunque in misura non inferiore al trattamento economico minimo previsto dai contratti collettivi nazionali di categoria raggruppati per settori omogenei.
Il citato criterio di determinazione del reddito, che si rivolge a quei lavoratori che, pur svolgendo l’attività lavorativa all’estero, continuano ad essere qualificati come residenti fiscali in Italia ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del Tuir, e comporta che il reddito derivante dal lavoro dipendente prestato all’estero è assoggettato a tassazione assumendo come base imponibile la retribuzione convenzionale fissata dal predetto decreto senza tener conto della retribuzione effettivamente corrisposta al lavoratore.
La disciplina trova applicazione a condizione che:
- l’attività lavorativa sia svolta all’estero per un determinato periodo di tempo con carattere di permanenza o di sufficiente stabilità;
- ’attività lavorativa svolta all’estero costituisca l’oggetto esclusivo del rapporto di lavoro e, pertanto, l’esecuzione della prestazione lavorativa sia integralmente svolta all’estero; 9
- il lavoratore nell’arco di dodici mesi soggiorni nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni.
- Oltre ai requisiti sopra richiamati, è comunque necessario che il lavoratore operante all’estero sia inquadrato in una delle categorie per le quali il decreto del citato Ministero fissa la retribuzione convenzionale