L’uscita dallo stato di emergenza passa dal 31 marzo al 30 giugno. Il nuovo termine riguarda sia le procedure per l’invio al ministero dei nomi dei lavoratori coinvolti sia il tempo a disposizione delle imprese per siglare gli accordi

Il 1° aprile era atteso ormai da settimane come la data di svolta per lo smart working: da quel giorno, infatti, sarebbe tornata in vigore la norma della legge 81/2017 che consente di utilizzare il lavoro agile solo in presenza di un accordo sottoscritto con ciascun lavoratore.
Le aziende in questi giorni stavano già organizzandosi con la firma degli accordi, ma con un colpo di scena imprevisto e inatteso, il Governo ha cambiato le carte in tavola, spostando la fine del regime d’emergenza sul lavoro agile dal 31 marzo al 30 giugno; quindi, fino a tale data resterà in vigore la norma (articolo 90, commi 3 e 4, del Dl 34/2020) che consente ai datori di lavoro di disporre unilateralmente, con forme semplificate (è sufficiente una email), il passaggio o la permanenza alla modalità di lavoro agile.

Proroga delle semplificazioni

Viene prorogata anche la norma che consente di effettuare le comunicazioni amministrative a Cliclavoro, il portale del ministero del Lavoro, inviando un file riassuntivo contenente le informazioni essenziali sui lavoratori in smart working, senza necessità di allegare eventuali accordi scritti.

Gli accordi individuali

Solo da primo luglio, quindi, potrà dirsi completato il ritorno alla “normalità” sancita e regolata dalla legge 81/2017; da tale data, salvo eventuali ulteriori spostamenti, tornerà infatti a essere vigente la regola, contenuta nella legge 81/2017, che consente di accedere allo smart working solo in presenza di un accordo firmato dal singolo dipendente, con il quale le parti definiscono le “regole di ingaggio” da applicare a questa modalità flessibile di svolgimento della prestazione lavorativa.

Cosa accade ai lavoratori che hanno già sottoscritto l’intesa

La proroga del regime di emergenza ovviamente non preclude alle aziende e ai lavoratori la facoltà di scegliere comunque di firmare un accordo individuale. In tal caso l’intesa sottoscritta tra le parti, anche prima del provvedimento del Governo, prevarrà sulle altre forme di attivazione del lavoro agile.

Verso un accordo collettivo?

Accanto a questo requisito legale, e senza attendere l’arrivo del mese di luglio, le imprese dovranno fare i conti con un altro passaggio, non previsto dalla legge ma non per questo meno vincolante: la necessità di discutere con le parti sociali, a tutti i livelli, l’eventuale regolazione tramite accordo collettivo del lavoro agile. La stipula di tale accordo non è un requisito legale (la legge 81/2017 non ne fa menzione, e tanto meno la normativa d’emergenza), ma è un passaggio centrale del Protocollo siglato il 7 dicembre 2021 tra le parti sociali, alla presenza del ministero del Lavoro. Il protocollo spinge, infatti, tutti gli attori delle relazioni industriali a utilizzare lavoro agile entro una cornice di regole fissate da appositi accordi collettivi. Non bisogna dimenticare che la dimensione giuridica del lavoro agile è solo un pezzo, importante ma non esclusivo, della vicenda. A prescindere dalla data di ritorno effettivo al regime ordinario, le imprese devono considerare un aspetto altrettanto rilevante: la loro effettiva capacità di accompagnare l’utilizzo del lavoro agile con nuovi modelli organizzativi, capaci di valorizzare l’alternanza tra svolgimento della prestazione all’interno e all’esterno dell’azienda. E, soprattutto, di utilizzare parametri di gestione e valutazione che diano maggiore importanza agli obiettivi e ai risultati dell’attività lavorativa. Un cambio organizzativo che dovrebbe servire a evitare che i difetti del lavoro agile d’emergenza si riproducano anche nello smart working post pandemico, riducendo le potenzialità di tale strumento.